“Io non posso garantirvi che sarete felici, un giorno sarete una lucina accesa, un giorno quella spenta.
Ma l’unica cosa che davvero conta è che abbiate nostalgia della felicità. Forse così vi verrà voglia di cercarla.”
Per la trasposizione cinematografica, Paolo Genovese sposta l’ambientazione del suo romanzo Il primo giorno della mia vita (Einaudi, 2018) da New York a Roma, restituendo una città misteriosa, dai toni e colori cupi, al limite del soprannaturale.
Castel Sant’Angelo è la prima immagine di una Città Eterna che assiste, durante una notte spettrale, alle gesta di quattro individui che nulla hanno in comune se non il desiderio di farla finita quasi nello stesso momento: un uomo che di mestiere fa il motivatore (Valerio Mastandrea); un'agente di polizia (Margherita Buy); una ex ginnasta che ha perso l'uso delle gambe (Sara Serraiocco); un ragazzino sovrappeso (Gabriele Cristini). Quella stessa notte, sotto una pioggia battente, si trovano tutti insieme "ospiti" di un misterioso individuo (Toni Servillo) che li ha recuperati nel preciso istante in cui stanno mettendo fine alla loro esistenza, offrendo loro una settimana di tempo per farli ricredere sul valore che danno alla propria vita.
Il giorno successivo i quattro assistono al recupero del corpo di uno di loro dal Tevere, nei pressi di Riva Ostiense, all’ombra del gazometro. In maniera differente nei giorni successivi, inizieranno a prendere coscienza di quel che hanno fatto e a fare i conti con il proprio dolore e le proprie debolezze e desideri. Sotto i portici di piazza Vittorio Napoleone spingerà la carrozzina di Emilia fino a costringere la ragazza ad ammettere quello che la sua mente si rifiuta di accettare. Lui stesso assisterà impotente ai sensi di colpa della moglie durante il suo funerale all’interno della Chiesa di San Paolo dentro le Mura, la cui facciata gotico-romanica a strisce bianche e rosse svetta in via Nazionale. La galleria della metropolitana linea B della stazione Termini è teatro di un suo nuovo tentativo di farla finita: a salvarlo, la vista di un uomo che lui stesso ha spinto ad aprirsi al mondo mentre intona l’immortale Hallelujah di Leonard Cohen.
Una delle 7 giornate, la più spensierata, si svolge al mare sugli storici bilancioni, con vista sul vecchio faro di Fiumicino: qui l’uomo prepara per i suoi quattro ospiti, che non possono mangiare né bere, un piatto di pasta alle vongole. Alcune scene si sono svolte a Cinecittà Est, in particolare davanti alla Chiesa di San Gioacchino e Anna e nei pressi di un fioraio in di via Rizzieri e, fuori Roma, nella valle dell’Aniene a Castel Madama. Gli interni sono ricostruiti in studio a Cinecittà.
“Io non posso garantirvi che sarete felici, un giorno sarete una lucina accesa, un giorno quella spenta.
Ma l’unica cosa che davvero conta è che abbiate nostalgia della felicità. Forse così vi verrà voglia di cercarla.”
Per la trasposizione cinematografica, Paolo Genovese sposta l’ambientazione del suo romanzo Il primo giorno della mia vita (Einaudi, 2018) da New York a Roma, restituendo una città misteriosa, dai toni e colori cupi, al limite del soprannaturale.
Castel Sant’Angelo è la prima immagine di una Città Eterna che assiste, durante una notte spettrale, alle gesta di quattro individui che nulla hanno in comune se non il desiderio di farla finita quasi nello stesso momento: un uomo che di mestiere fa il motivatore (Valerio Mastandrea); un'agente di polizia (Margherita Buy); una ex ginnasta che ha perso l'uso delle gambe (Sara Serraiocco); un ragazzino sovrappeso (Gabriele Cristini). Quella stessa notte, sotto una pioggia battente, si trovano tutti insieme "ospiti" di un misterioso individuo (Toni Servillo) che li ha recuperati nel preciso istante in cui stanno mettendo fine alla loro esistenza, offrendo loro una settimana di tempo per farli ricredere sul valore che danno alla propria vita.
Il giorno successivo i quattro assistono al recupero del corpo di uno di loro dal Tevere, nei pressi di Riva Ostiense, all’ombra del gazometro. In maniera differente nei giorni successivi, inizieranno a prendere coscienza di quel che hanno fatto e a fare i conti con il proprio dolore e le proprie debolezze e desideri. Sotto i portici di piazza Vittorio Napoleone spingerà la carrozzina di Emilia fino a costringere la ragazza ad ammettere quello che la sua mente si rifiuta di accettare. Lui stesso assisterà impotente ai sensi di colpa della moglie durante il suo funerale all’interno della Chiesa di San Paolo dentro le Mura, la cui facciata gotico-romanica a strisce bianche e rosse svetta in via Nazionale. La galleria della metropolitana linea B della stazione Termini è teatro di un suo nuovo tentativo di farla finita: a salvarlo, la vista di un uomo che lui stesso ha spinto ad aprirsi al mondo mentre intona l’immortale Hallelujah di Leonard Cohen.
Una delle 7 giornate, la più spensierata, si svolge al mare sugli storici bilancioni, con vista sul vecchio faro di Fiumicino: qui l’uomo prepara per i suoi quattro ospiti, che non possono mangiare né bere, un piatto di pasta alle vongole. Alcune scene si sono svolte a Cinecittà Est, in particolare davanti alla Chiesa di San Gioacchino e Anna e nei pressi di un fioraio in di via Rizzieri e, fuori Roma, nella valle dell’Aniene a Castel Madama. Gli interni sono ricostruiti in studio a Cinecittà.