“Ah! che la morte ognora
è tarda nel venir
a chi desia
a chi desia morir!
Addio,
addio, Leonora, addio…”
Nel 1936, due anni dopo il riconoscimento del Nobel, Luigi Pirandello, in punto di morte, vede scorrere la sua vita, mentre i figli invecchiano man mano che si avvicinano al suo capezzale, allestito in una stanza bianca, asettica, negli studi di Cinecittà.
Leonora addio, che richiama nel titolo la romanza del Trovatore di Verdi, racconta l’avventura delle ceneri del celebre scrittore e drammaturgo che fu premio Nobel per la letteratura nel 1934. Una storia che ha dell’incredibile: sembrerebbe ispirata ai sui stessi scritti se non riguardasse quel che accadde dopo la sua dipartita.
Nel testamento, Pirandello aveva dato disposizioni precise: “Sia lasciata passare in silenzio la mia morte. Agli amici, ai nemici preghiera non che di parlarne sui giornali, ma di non farne pur cenno. Né annunzi né partecipazioni. Morto, non mi si vesta. Mi s'avvolga, nudo, in un lenzuolo. E niente fiori sul letto e nessun cero acceso. Carro d'infima classe, quello dei poveri. Nudo. E nessuno m’accompagni, né parenti, né amici. Il carro, il cavallo, il cocchiere e basta. Bruciatemi. E il mio corpo appena arso, sia lasciato disperdere; perché niente, neppure la cenere, vorrei avanzasse di me. Ma se questo non si può fare sia l’urna cineraria portata in Sicilia e murata in qualche rozza pietra nella campagna di Girgenti, dove nacqui”.
Tuttavia le cose, come racconta il regista Paolo Taviani, andarono diversamente.
A Palazzo Venezia si decidono le sorti delle sue ceneri, bloccate a Roma dalla guerra e dal fascismo. Custodite dietro una lapide al cimitero del Verano, trascorrono 10 lunghissimi anni richiamati dai frammenti di neorealismo che si frappongono alle scene del film, prima di intraprendere il viaggio attraverso l’Italia del dopoguerra che le riporterà ai luoghi di origine. Mentre dai finestrini scorrono alcuni paesaggi della Puglia, le case bianche di Ostuni, gli uliveti di Fasano e le saline di Margherita di Savoia, all’interno di un treno si coltivano speranze per un futuro migliore.
Al viaggio su rotaia le ceneri dello scrittore ci sono arrivate dopo essere state prelevate dall’urna in cui riposavano, inserite in una cassa, sotto il vigile e ansioso controllo del messo del comune di Agrigento (Fabrizio Ferracane), dopo aver attraversato traballanti l’acciottolato dell’Appia antica a bordo di una jeep ed aver tentato inutilmente di prendere un volo – gli interni dell’aereo sono girati al Museo dell’Aeronautica di Bracciano – mai partito per assurde superstizioni.
L’arrivo in Sicilia non è la fine dell’avventura: alle ceneri toccherà attraversare la città dentro una bara da bambino e aspettare la lunghissima realizzazione del mausoleo prima di trovare finalmente pace 15 anni dopo la scomparsa dello scrittore. Le riprese siciliane comprendono le strade di Ortigia, a Siracusa, gli interni del Monastero dei Benedettini e della biblioteca “Ursino Recupero" a Catania, contrada Caos ad Agrigento, dove si trovano il monumento e la casa natale dello scrittore, il castello di Palma di Montechiaro, dove vengono disperse parte delle ceneri. Le scene in cui lo scultore trova la pietra per costruire il mausoleo sono girate in località Argimusco, presso i megaliti del comune di Montalbano Elicona.
Finita l’avventura della sepoltura si cambia completamente scenario e ambientazione. Il bianco e nero lascia il posto al colore e dall’Italia del dopoguerra si passa, con un salto temporale e spaziale, alla Brooklyn di inizio Novecento dove è ambientata Il chiodo, novella che Pirandello scrisse 20 giorni prima di morire.
Il finale ricorda allo spettatore, attraverso un cortocircuito richiamato da uno dei temi più ricorrenti della poetica pirandelliana, che la vita stessa ad essere teatro, in questo caso il Teatro dell’Opera di Roma.
“Ah! che la morte ognora
è tarda nel venir
a chi desia
a chi desia morir!
Addio,
addio, Leonora, addio…”
Nel 1936, due anni dopo il riconoscimento del Nobel, Luigi Pirandello, in punto di morte, vede scorrere la sua vita, mentre i figli invecchiano man mano che si avvicinano al suo capezzale, allestito in una stanza bianca, asettica, negli studi di Cinecittà.
Leonora addio, che richiama nel titolo la romanza del Trovatore di Verdi, racconta l’avventura delle ceneri del celebre scrittore e drammaturgo che fu premio Nobel per la letteratura nel 1934. Una storia che ha dell’incredibile: sembrerebbe ispirata ai sui stessi scritti se non riguardasse quel che accadde dopo la sua dipartita.
Nel testamento, Pirandello aveva dato disposizioni precise: “Sia lasciata passare in silenzio la mia morte. Agli amici, ai nemici preghiera non che di parlarne sui giornali, ma di non farne pur cenno. Né annunzi né partecipazioni. Morto, non mi si vesta. Mi s'avvolga, nudo, in un lenzuolo. E niente fiori sul letto e nessun cero acceso. Carro d'infima classe, quello dei poveri. Nudo. E nessuno m’accompagni, né parenti, né amici. Il carro, il cavallo, il cocchiere e basta. Bruciatemi. E il mio corpo appena arso, sia lasciato disperdere; perché niente, neppure la cenere, vorrei avanzasse di me. Ma se questo non si può fare sia l’urna cineraria portata in Sicilia e murata in qualche rozza pietra nella campagna di Girgenti, dove nacqui”.
Tuttavia le cose, come racconta il regista Paolo Taviani, andarono diversamente.
A Palazzo Venezia si decidono le sorti delle sue ceneri, bloccate a Roma dalla guerra e dal fascismo. Custodite dietro una lapide al cimitero del Verano, trascorrono 10 lunghissimi anni richiamati dai frammenti di neorealismo che si frappongono alle scene del film, prima di intraprendere il viaggio attraverso l’Italia del dopoguerra che le riporterà ai luoghi di origine. Mentre dai finestrini scorrono alcuni paesaggi della Puglia, le case bianche di Ostuni, gli uliveti di Fasano e le saline di Margherita di Savoia, all’interno di un treno si coltivano speranze per un futuro migliore.
Al viaggio su rotaia le ceneri dello scrittore ci sono arrivate dopo essere state prelevate dall’urna in cui riposavano, inserite in una cassa, sotto il vigile e ansioso controllo del messo del comune di Agrigento (Fabrizio Ferracane), dopo aver attraversato traballanti l’acciottolato dell’Appia antica a bordo di una jeep ed aver tentato inutilmente di prendere un volo – gli interni dell’aereo sono girati al Museo dell’Aeronautica di Bracciano – mai partito per assurde superstizioni.
L’arrivo in Sicilia non è la fine dell’avventura: alle ceneri toccherà attraversare la città dentro una bara da bambino e aspettare la lunghissima realizzazione del mausoleo prima di trovare finalmente pace 15 anni dopo la scomparsa dello scrittore. Le riprese siciliane comprendono le strade di Ortigia, a Siracusa, gli interni del Monastero dei Benedettini e della biblioteca “Ursino Recupero" a Catania, contrada Caos ad Agrigento, dove si trovano il monumento e la casa natale dello scrittore, il castello di Palma di Montechiaro, dove vengono disperse parte delle ceneri. Le scene in cui lo scultore trova la pietra per costruire il mausoleo sono girate in località Argimusco, presso i megaliti del comune di Montalbano Elicona.
Finita l’avventura della sepoltura si cambia completamente scenario e ambientazione. Il bianco e nero lascia il posto al colore e dall’Italia del dopoguerra si passa, con un salto temporale e spaziale, alla Brooklyn di inizio Novecento dove è ambientata Il chiodo, novella che Pirandello scrisse 20 giorni prima di morire.
Il finale ricorda allo spettatore, attraverso un cortocircuito richiamato da uno dei temi più ricorrenti della poetica pirandelliana, che la vita stessa ad essere teatro, in questo caso il Teatro dell’Opera di Roma.
Stemal Entertainment, Rai Cinema, Luce Cinecittà, Cinemaundici
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La rocambolesca avventura delle ceneri di Pirandello e il movimentato viaggio dell’urna da Roma ad Agrigento, fino alla tribolata sepoltura avvenuta dopo quindici anni dalla morte. E a chiudere il film, l’ultimo racconto di Pirandello scritto venti giorni prima di morire: “Il chiodo” dove il giovane Bastianeddu, strappato in Sicilia dalle braccia della madre e costretto a seguire il padre al di là dell’oceano, non riesce a sanare la ferita che lo spinge a un gesto insensato.