Liberamente tratta dal romanzo di Cesare Pavese, Tra donne sole (1949), la pellicola si apre con una lunga e lenta panoramica a volo d’uccello sulla città di Torino e si chiude, fatalmente, sulla Mole Antonelliana, la più identitaria delle emergenze architettoniche dello skyline torinese. Clelia è tornata nel capoluogo piemontese per aprire una succursale della casa di moda per cui lavorava a Roma. La centralissima Piazza San Carlo fa da teatro all’incontro di Clelia con Carlo, cui poco dopo si aggiunge l’architetto Cesare Pedoni, a cui sono affidati i lavori nell’atelier, che ha sede nell’adiacente via Roma, sotto il portico con le colonne in granito, al civico 282.
I tre si ritrovano all’interno del Caffè Torino, locale storico sulla piazza principale della città, luogo di incontro degli intellettuali in epoca risorgimentale, che ancora oggi conserva il suo arredamento con statue, marmi pregiati e stucchi. Antonioni riprende il famoso bar-ristorante sia all’interno, con i suoi sfarzosi specchi e lampadari, sia all’esterno, per poi seguire Clelia che cammina sotto i portici dopo aver discusso animatamente con l’architetto. La donna viene seguita da quest’ultimo, che cerca di rabbonirla, e da Carlo: dietro di loro la macchina da presa mostra la piazza, di cui si riconoscono i palazzi porticati e soprattutto, al centro, il monumento equestre a Emanuele Filiberto di Savoia (Carlo Marochetti, 1838), con il duca che ripone la spada nel fodero dopo la vittoria di San Quintino del 10 agosto 1557.
Clelia e Carlo, nella parte centrale della storia, per scegliere i mobili con cui arredare l’atelier, vanno insieme in un negozio sotto i portici di Piazza della Repubblica e, usciti di là fanno una passeggiata nella zona limitrofa, dove Clelia descrive a Carlo, non senza una certa vena malinconica, il quartiere in cui è cresciuta, mostrandogli cortili e palazzi, fino ad arrivare nella vicina Piazza Don Paolo Albera. Ci si sposta poco più a sud, invece, dopo il successo della prima sfilata, per la cena che coinvolge gran parte dei personaggi in un ristorante in via Conte Verde, all’incrocio con largo IV Marzo.
Il Po è una presenza costante in tutta la pellicola, talvolta lo si vede solo di sfuggita, dalle finestre di un ristorante, in altre fa da fondale a sequenze importanti, come quella in cui Rosetta confessa il suo amore a Lorenzo, il pittore fallito che mal tollera i successi della moglie Nene e che l’ha ritratta in una tela. La scena si svolge in Corso Achille Mario Dogliotti, a un passo dalla riva del fiume. I due amanti, in un’altra sequenza, camminano nei giardini di Piazza Cavour, fermandosi davanti ad un piccolo chiosco di dolciumi e al monumento in onore di Carlo Felice Nicolis, Conte di Robilant, politico e diplomatico risorgimentale, opera di Giacomo Ginotti (1896-1900). Sullo sfondo, il palazzo che fa da fondale alla scena è oggi più alto di quanto lo fosse nel 1955, grazie all’aggiunta di due piani. Anche il suicidio di Rosetta, il cui malessere è al centro di gran parte della vicenda, avverrà proprio gettandosi nel fiume, anche se la macchina da presa racconta solamente il momento in cui il suo corpo viene ripescato lungo i Murazzi del Po, riconoscibili dalle grandi scalinate che colmano il dislivello con il soprastante Lungo Po Armando Diaz.
È curioso, invece, notare che il primo tentativo di suicidio della ragazza, avvenuto al di fuori della narrazione, all’inizio del film, ne aveva causato il ricovero in ospedale, in una sequenza girata nell’ospedale San Filippo Neri sulla via Trionfale a Roma. Altrettanto lontano da Torino, infine, si svolge la fondamentale sequenza della gita al mare, significativa parte aggiunta da Antonioni e splendidamente scritta in sceneggiatura da Suso Cecchi d’Amico. Il luogo non viene precisato, ma quello che i personaggi raggiungono con un breve spostamento in treno è il mar Tirreno all’altezza della città pontina di Sabaudia.
Liberamente tratta dal romanzo di Cesare Pavese, Tra donne sole (1949), la pellicola si apre con una lunga e lenta panoramica a volo d’uccello sulla città di Torino e si chiude, fatalmente, sulla Mole Antonelliana, la più identitaria delle emergenze architettoniche dello skyline torinese. Clelia è tornata nel capoluogo piemontese per aprire una succursale della casa di moda per cui lavorava a Roma. La centralissima Piazza San Carlo fa da teatro all’incontro di Clelia con Carlo, cui poco dopo si aggiunge l’architetto Cesare Pedoni, a cui sono affidati i lavori nell’atelier, che ha sede nell’adiacente via Roma, sotto il portico con le colonne in granito, al civico 282.
I tre si ritrovano all’interno del Caffè Torino, locale storico sulla piazza principale della città, luogo di incontro degli intellettuali in epoca risorgimentale, che ancora oggi conserva il suo arredamento con statue, marmi pregiati e stucchi. Antonioni riprende il famoso bar-ristorante sia all’interno, con i suoi sfarzosi specchi e lampadari, sia all’esterno, per poi seguire Clelia che cammina sotto i portici dopo aver discusso animatamente con l’architetto. La donna viene seguita da quest’ultimo, che cerca di rabbonirla, e da Carlo: dietro di loro la macchina da presa mostra la piazza, di cui si riconoscono i palazzi porticati e soprattutto, al centro, il monumento equestre a Emanuele Filiberto di Savoia (Carlo Marochetti, 1838), con il duca che ripone la spada nel fodero dopo la vittoria di San Quintino del 10 agosto 1557.
Clelia e Carlo, nella parte centrale della storia, per scegliere i mobili con cui arredare l’atelier, vanno insieme in un negozio sotto i portici di Piazza della Repubblica e, usciti di là fanno una passeggiata nella zona limitrofa, dove Clelia descrive a Carlo, non senza una certa vena malinconica, il quartiere in cui è cresciuta, mostrandogli cortili e palazzi, fino ad arrivare nella vicina Piazza Don Paolo Albera. Ci si sposta poco più a sud, invece, dopo il successo della prima sfilata, per la cena che coinvolge gran parte dei personaggi in un ristorante in via Conte Verde, all’incrocio con largo IV Marzo.
Il Po è una presenza costante in tutta la pellicola, talvolta lo si vede solo di sfuggita, dalle finestre di un ristorante, in altre fa da fondale a sequenze importanti, come quella in cui Rosetta confessa il suo amore a Lorenzo, il pittore fallito che mal tollera i successi della moglie Nene e che l’ha ritratta in una tela. La scena si svolge in Corso Achille Mario Dogliotti, a un passo dalla riva del fiume. I due amanti, in un’altra sequenza, camminano nei giardini di Piazza Cavour, fermandosi davanti ad un piccolo chiosco di dolciumi e al monumento in onore di Carlo Felice Nicolis, Conte di Robilant, politico e diplomatico risorgimentale, opera di Giacomo Ginotti (1896-1900). Sullo sfondo, il palazzo che fa da fondale alla scena è oggi più alto di quanto lo fosse nel 1955, grazie all’aggiunta di due piani. Anche il suicidio di Rosetta, il cui malessere è al centro di gran parte della vicenda, avverrà proprio gettandosi nel fiume, anche se la macchina da presa racconta solamente il momento in cui il suo corpo viene ripescato lungo i Murazzi del Po, riconoscibili dalle grandi scalinate che colmano il dislivello con il soprastante Lungo Po Armando Diaz.
È curioso, invece, notare che il primo tentativo di suicidio della ragazza, avvenuto al di fuori della narrazione, all’inizio del film, ne aveva causato il ricovero in ospedale, in una sequenza girata nell’ospedale San Filippo Neri sulla via Trionfale a Roma. Altrettanto lontano da Torino, infine, si svolge la fondamentale sequenza della gita al mare, significativa parte aggiunta da Antonioni e splendidamente scritta in sceneggiatura da Suso Cecchi d’Amico. Il luogo non viene precisato, ma quello che i personaggi raggiungono con un breve spostamento in treno è il mar Tirreno all’altezza della città pontina di Sabaudia.
Trionfalcine
Una giovane donna ritorna a Torino, sua città natale, per aprire una casa di moda. Qui inizia a frequentare una donna problematica e il suo gruppo di amici.