Proviamo a mettere il mare – scala di colori dal verde al blu, al grigionero quando è notte – nel rettangolo di uno schermo. Anche da lì continua a espandersi, anela l’infinitezza, l’ulteriorità fatta di speranza chissà, di avventura, nostalgia, perdita, conquista. Il mare contiene la scomparsa di chi parte, lì in fondo come un puntino, o il suo riapparire sulla linea d’orizzonte quando torna in campo lungo, fino ad approdare, qui davanti, in primo piano. Perché mare e cinema si somigliano, in Italia specialmente. Ci sono film che si prendono in carico il mare, ci giocano, lo liricizzano, ci cascano, lo sfidano, riemergono, lo vincono. Tre regioni: Puglia, Sicilia e Sardegna, una penisola e due isole, a celebrare l’appartenenza all’elemento mare e, se vogliamo, alla gioia d’essere al suo sapore filmate.
Stampa itinerarioÈ proprio dalla parte del mare dove spira “il salmastro, orientale, come un riflesso sbiadito” che gli Ottomani sono arrivati nel 1480 a Otranto, causando il più leggendario martirologio della storia cristiana. I versi sono recitati dalla voce brumosa e sensuale di Carmelo Bene in incipit del suo film d’esordio, datato 1968, il capolavoro Nostra Signora dei Turchi; s’affacciano dalla moresca VIlla Sticchi, a Santa Cesarea Terme, pochi chilometri da Otranto, costa selvaggia, scolpita, respiro d’Oriente, mare di cristallo, in molti anfratti – da scoprire con sapienza – ancora solitaria. Quella medesima villa moresca la ritroviamo, con ben altro atteggiamento cinematografico, abitata da Marco Giallini ed Edoardo Leo in Loro chi?, diretto nel 2015 da Francesco Micciché e Fabio Bonifacci. Il tour dei due complici nella truffa parte dal Nord, da Trento, ma arriva in Puglia, dapprima a Trani che, nello specifico, mette sul piatto di questo nostro itinerario la meravigliosa cattedrale romanica puntata sul mare, sfidante il cielo, dialogante con i venti, un unicum di pietra bianca.
Se di mare, e cinema, si parla, allora occorre non perdersi Polignano a Mare, che Mario Monicelli travestì nel 1968 da Sicilia per La ragazza con la pistola. In tempi recenti, le sue verticali falesie si son viste in Cado dalle nubi, prima avventura di Checco Zalone nel cinema (2009), nella miniserie televisiva Volare, la grande storia di Domenico Modugno diretta da Riccardo Milani nel 2013 e in Io che amo solo te, con la coppia prematrimoniale Riccardo Scamarcio-Laura Chiatti, sortita dal romanzo omonimo di Luca Bianchini.
E si scivola, sospinti da vento favorevole, nel Salento, scegliendo dapprima di immergerci nelle atmosfere aderenti a un regista salentino di antica radice nobiliare inglese, Edoardo Winspeare. Il film che ci porta al mare è La vita in Comune (2017), nel quale si compie l’utopia ecologista di un sindaco e di due ex malviventi: lato Adriatico da Otranto a Santa Maria di Leuca, azulei di Madre Natura, discese ardite e la foca monaca risalente dagli abissi. La parte opposta, la costa jonica, quella cristallina e vitalissima di Gallipoli, ospita infine la danza libera a mezz’acqua sulle note di Sorry, I’m a lady, in Mine vaganti di Ferzan Ozpetek. Il film, che ha la libertà dell’estate e di se stessi, dal Tribeca film festival ottiene una menzione speciale “per aver fatto desiderare di prenotare un viaggio nel Sud Italia”. È il 2010.
Con quel modulato andare – femminile beltade che condanna l’adolescente protagonista a dipendere per sempre da quel passo – Monica Bellucci s’imprime nella linea di spiaggia lunga di Marina di Noto. Il film è Malena, come sempre atto d’amore per la sua Sicilia di un regista grato della radice come Giuseppe Tornatore. Per noi che siamo, nella realtà, al principio del millennio (la pellicola è del 2000), consola ricordarsi di essersi lasciati alle spalle la seconda guerra mondiale, di avere ancora intatti capolavori come le stradine di Ortigia e la Piazza Duomo di Siracusa e, sempre qui, tra Realmonte e Porto Empedocle, la spettacolare Scala dei Turchi, sempre a picco sul beato mare siculo. Di cui il cinema salatamente s’abbevera. Il mare è sudore e lutto in alcuni capolavori che hanno fatto la storia del cinema delle nostre origini poetiche, come La terra trema di Luchino Visconti, del 1948. Proprio come nel romanzo verghiano, I Malavoglia, siamo ad Aci Trezza e tutto, case, strade, barche, facce di salsedine e di vento, la parlata («la lingua italiana non è in Sicilia la lingua dei poveri», dice la voce narrante), la voga, le lampare e le vele che si dispiegano nel finale, parlano di una fatica di mare che non c’è più, ma la cui eco si può sempre ritrovare percorrendo il tratto che va da Catania ad Aci Reale, affacciata sullo Jonio. Oltre un decennio più tardi, due commedie fondative di Pietro Germi, come Divorzio all’italiana(1961) e Sedotta e abbandonata (1964), si muovono nelle città marinare di Ispica, nel Ragusano, e di Sciacca nell’Agrigentino, aiutandoci a compiere un giro nel come eravamo e nella distesa trasparente e piena di vita di un’Italia che andava veloce. E, ogni volta che nel mare di Sicilia vogliamo immergerci, basta chiedere a Woody Allen di portarci a Taormina insieme alla leggiadra Dea dell’amore, o anche a Paolo Virzì di farci fare un bel volo con My name is Tanino nelle purissime acque di San Vito Lo Capo e della sua frazione di Castelluzzo, nel Trapanese, o a Marco Bellocchio di lasciarci distesi sulla spiaggia del Regista di matrimoni (2006), ad ammirare l’arroccata Cefalù, nel Palermitano. Ed è, infine, proprio con Palermo che confina l’immaginaria Pietrammare, concepita apposta per L’ora Legale da Ficarra e Picone (per chi la volesse geolocalizzare occorre mettere sul navigatore Termini Imerese, porto antichissimo e conca piena di sorprese lungo i bordi orlati di grotte).
Non è un viaggio come tutti gli altri, è proprio come il sole che si prende in Sardegna, una specie di brunito colore d’oro tatuato da una permanenza che innamora. Ed è come il vento, che soffia continuo, caldo, e sussurra storie. Spesso aliene. Per questo, cominciamo da un film in bianco e nero, inusuale come La leggenda di Kaspar Hauser (2012) di Davide Manuli, perché lunare, per molti versi trascendentale, è la stasi sulle sue spiagge. La storia fa la sua parte, Kaspar Hauser è un giovane smemorato che pare caduto su una terra, abitata da squinternati personaggi (l’abilissimo Vincent Gallo su tutti) e piantata di sculture di roccia, spiagge lattee, pronte al miracolo e miracolo loro stesse. Siamo nella bellissima Penisola del Sinis, nel territorio di Cabras, provincia di Oristano. E da Cabras, nuragica, corsara, rimane affascinata anche la regista Laura Bispuri: è qui che gira il suo Figlia mia (2018), storia contemporanea, interpretata da Alba Rohrwacher e Valeria Golino, che s’innesta su un’antica pratica familiare sarda, quella dei figli de ànima, progenie affidata a cure di altre madri. Sulle note di Questo amore non si tocca di Gianni Bella le coste s’arrossano e danzano insieme alle protagoniste. La regione appare come ora è, vivace e accogliente, cinematografica e romanzabile, aperta. Un passo indietro, al 1974, anno in cui Lina Wertmüller gira il cult Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto, che ci aiuta a ritrovare l’originario, primigenio senso di paradiso di mare che gli scenari di Cala Fuili, Cala Luna e Capo Comino (a metà tra i territori di Baunei e di Dorgali, nel Nuorese) offrono come approdo alla temporanea, travagliatissima coppia composta da Mariangela Melato e Giancarlo Giannini, naufraghi su un’isola deserta: lei ricca borghese intollerabile, lui suscettibile mozzo comunista, irrimediabilmente attratti se immessi in questa lussureggiante anarchia. Nel porto di Arbatax, nell’Ogliastra, tutto questo sovvertimento ha fine. Sospensione delle regole, anche per il manipolo dei Selvaggi di Carlo Vanzina che nel 1995 trova riparo nella sontuosa spiaggia di Razza di Juncu, e siamo a Sud della Costa Smeralda. Cagliari, il capoluogo, che ha il mare del golfo degli Angeli come fuga costante dall’alto dei suoi spalti, si gode nell’attraversamento, in un giorno d’estate, delle due Bellas Mariposas, le adolescenti Cate e Luna. Vanno al mare dal loro quartiere popolare, Santalamenera, in autobus, fanno la loro esplorazione, raggiungono la spiaggia cittadina, si sentono sirene, vorrebbero essere pesci, e sono invece bellissime farfalle, nella visione del regista Salvatore Mereu che le racconta nel 2012. Lasciamo la Sardegna con Monica Vitti sulla spiaggia rosa dell’Isola di Budelli in Deserto Rosso (1964): lei è evanescente nella digressione antonioniana, com’è adesso la sua presenza/assenza (ovunque si trovi), a camminare nel sogno, nel silenzio immacolato dei luoghi.