La città di Sepino il cui nome deriverebbe da saepire (recintare) riferimento all’antico stazzo recintato connesso all’allevamento transumante è situata ai piedi del massiccio del Matese e aperta sulla valle del fiume Tammaro.
Un centro fortificato di epoca sannitica sorgeva sull'altura detta di “Terravecchia”, espugnata dai romani nel 293 a.C. durante la Terza Guerra Sannitica. I suoi abitanti, in seguito all'espugnazione, si trasferirono nel sito della Sepino romana, incardinata su due importanti assi stradali preesistenti: il tratturo Pescasseroli-Candela e il percorso trasversale che scende dal Matese e prosegue verso le colline della piana del Tammaro.
Il centro romano raggiunse la sua massima fioritura in età augustea, quando fu fortificato e furono costruiti o restaurati i più importanti edifici della città: i templi, il Foro, la basilica, il macellum, il teatro e le terme. Un imponente arco onorario, di cui oggi rimangono solo frammenti fu dedicato a Lucius Neratius Priscus, nativo di Sepino, che l'imperatore Traiano aveva indicato tra i suoi possibili successori. Ad altri esponenti dell'aristocrazia cittadina, come i Numisii e gli Ennii, si devono monumenti sepolcrali e opere pubbliche, come la cosiddetta “Fontana del Grifo”.
Nel IV-V secolo d.C. iniziò il declino. Furono abbandonati gli edifici più importanti del centro, l'area abitata si restrinse, il basolato del Foro fu interrato e usato come luogo di sepoltura. Nel 667 d.C., in piena epoca longobarda, i duchi di Benevento consentirono lo stanziamento di una colonia di Bulgari nella pianura, come ricompensa per i servigi prestati in battaglia. Le attività agricole riavviate dai monaci benedettini del monastero di Santa Sofia di Benevento decretarono un periodo di lenta ripresa, durato fino alla metà del IX secolo, quando a causa delle scorrerie dei Saraceni la popolazione si spostò sulle alture circostanti, determinando la successiva nascita dei castelli. Gli ultimi discendenti degli abitanti della Sepino romana si trasferirono nel Castellum Sepini, l’attuale Sepino.
Fonte: Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del Molise - Mibac
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