La Galleria Borghese, a Roma, fu edificata come casino di caccia all'interno dell'omonima villa, all'inizio del Seicento, per volontà del cardinale Scipione Borghese Caffarelli, che la commissionò prima all'architetto Flaminio Ponzio e, dopo la morte di questo, al fiammingo Jan van Santen, meglio noto come Giovanni Vasanzio.
La palazzina riprese il modello architettonico, caratterizzato dai due avancorpi laterali, della vicina Villa Medici al Pincio, peraltro già riutilizzato per la Villa Farnesina di Agostino Chigi a Trastevere all'inizio del Cinquecento. Negli anni del pontificato borghesiano, essa divenne uno scrigno di tesori, che Scipione ottenne con tutti i mezzi possibili (si pensi al furto nottetempo della celebre Deposizione di Raffaello dalla Chiesa di San Francesco a Perugia).
Oggi gli ambienti appaiono come vennero restaurati da Marcantonio IV Borghese, a partire dal 1770, con l'intervento dell'architetto Camillo Asprucci e pittori come Mariano Rossi, Cristoforo Unterperger, etc. Nel 1807, però, Camillo Borghese, che aveva sposato Paolina Bonaparte, vendette a Napoleone 695 marmi della propria collezione, conservati ancora al Louvre. Quell'avvenimento venne definito da Antonio Canova "un'incancellabile vergogna".
Dal 1902, quando venne acquistata dallo Stato italiano, Galleria Borghese è diventata un museo pubblico, in cui è possibile ammirare un'infinita serie di capolavori di Caravaggio, Bernini, Tiziano, Canova, Raffaello, Domenichino, Rubens, Correggio, Lotto, Giorgione, Dosso Dossi, Botticelli, Antonello da Messina, Piero di Cosimo e tanti altri.
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