(a cura di Andrea Gropplero - materiali Cinecittario: Archivio Luce)
La Lombardia, con i suoi quasi 10 milioni di abitanti, è la più popolosa delle regioni italiane ma solo la quarta per superficie territoriale. Chiusa a nord dalle Alpi e dalle Prealpi, ha buona parte del territorio nella grande e fertile pianura Padana, solcata da ovest a est dal fiume Po nella sua parte più lunga e navigabile. A caratterizzare ulteriormente la geografia di questa variegata regione ci sono i tre grandi laghi (Como, Maggiore e la parte occidentale del Garda) che hanno influenzato nei secoli la sua cucina, le cui materie prime spaziano dall’allevamento del bestiame e dalla selvaggina delle Prealpi, all’agricoltura della pianura, ai pesci d’acqua dolce offerti in abbondanza dai laghi e dagli innumerevoli corsi d’acqua. La prima antropizzazione si deve al popolo del Celti (risalente alla età del ferro).
Stampa itinerarioL’aria serena dell’Ovest (1990) è il film d’esordio di Silvio Soldini che inaugura il nuovo corso del cinema Italiano. Un corso di cui gli interpreti più rilevanti, oltre allo stesso Soldini, sono Gabriele Salvatores, Giuseppe Tornatore e Mario Martone. Il nuovo cinema italiano degli anni Novanta toglie centralità a Roma ed inaugura così la stagione del cinema delle regioni, contribuendo significativamente alla nascita delle prime Film Commission.
Nel film di Soldini l’eco della caduta del muro di Berlino e dei fatti di piazza Tienanmen a Pechino arriva nelle vite dei sei personaggi (chissà se il regista ha pensato a Pirandello) intrecciate tra loro da un’agendina smarrita che passa di mano in mano.
È una Milano fredda, quella che racconta Soldini, fredda anche se è primavera inoltrata, fredda nella regia quasi documentaristica, nella fotografia di Luca Bigazzi, per l’epoca assolutamente innovativa, fredda nelle ambientazioni e nei sentimenti dei personaggi che non riescono a esplicitare la volontà di cambiare la loro vita. Su tutto il film aleggia una serenità apparente, come una quiete prima della tempesta che non sapremo mai se davvero arriverà. Non c’è spazio per l’ossobuco in cremolada, il risotto alla milanese, la casseula, In questo tempo sospeso, il cibo è fatto di colazioni mattutine, di pranzi ospedalieri e cene frugali, come l’espletarsi di un bisogno organico che non merita alcuna passione.
Strategia del ragno (1970), quarto film di Bernardo Bertolucci ispirato al racconto del 1944 di Jorge Luis Borges Tema del traditore e dell’eroe, narra di un giovane che, arrivato nella cittadina del padre, locale eroe antifascista assassinato dal regime, comincia ad indagare sulla sua morte scoprendo una verità che non corrisponde alla narrazione paesana. Tara, il paese in cui si svolge il racconto, è in realtà Sabbioneta, uno dei borghi più belli d’Italia e patrimonio Unesco. Il borgo paterno vive nel culto dell’eroe vittima dei fascisti, ma all’arrivo del giovane, che porta lo stesso nome del padre, Athos Magnani, gli si dimostra ostile. Athos incontrerà i nemici e gli amici del padre e proprio questi ultimi sembrano custodire un segreto. Così tra una fetta di culatello e un piatto trippa, “che se non è cucinata bene, bisognerebbe tirarla contro il muro”, il giovane scoprirà la verità sulla morte del padre.
Del resto la trippa alla parmigiana, rigorosamente in bianco, è un piatto principe della nostra cucina. La ricetta popolare, ottenuta con ingredienti poveri e spesso di risulta è antichissima e le sue origini si perdono nella notte dei tempi. Il piatto si ottiene rosolando prima un battuto classico, con cipolla e aglio intero e poi la trippa nel lardo di maiale, si aggiunge il brodo di manzo e a cottura ultimata si manteca con parmigiano grattugiato abbondante, infine si aggiunge un tuorlo d’uovo e un poco di sugo d’arrosto e si mescola a fuoco spento, si finisce con un pugno di timo tritato e pepe.
In Miracolo a Milano (1951) Gran Prix a Cannes nello stesso anno, Vittorio De Sica racconta con i toni della favola moderna la storia di Totò, giovane orfano alla ricerca di un mondo dove “Buongiorno, vuole dire veramente buongiorno”.
Uscito dopo diversi anni dall’orfanatrofio, Totò diventerà il leader di una comunità di senzatetto che si è costruita una baraccopoli abusiva vicino alla stazione ferroviaria di Lambrate. La comunità di baraccati, perforando il terreno alla ricerca di una fonte d’acqua, troverà il petrolio, che scatenerà l’avida violenza dei proprietari del terreno e della loro polizia. In questo contesto di scontro sociale, Il giovane si innamorerà di Edwige, una ragazza new entry di questa comunità priva di denaro e di potere, per cui mangiare un pollo arrosto equivale a una vincita alla lotteria. Il conflitto principale nella trama del film è tra povertà e profitto, che in una favolistica messa in scena della lotta di classe, si trasformerà in un conflitto tra poveri e profittatori e si risolverà in piazza Duomo, dove il corteo di poveri ruberà le scope agli spazzini per sciamare, volando verso un luogo in cui buongiorno vuole dire veramente buongiorno.
Rocco e i suoi fratelli (1960), il film del grande regista milanese Luchino Visconti vincitore del Leone d’argento al festival di Venezia, racconta la storia di una madre che dalla Lucania raggiunge con i quattro figli il maggiore a Milano, con il miraggio del boom economico e di una vita da strappare alla povertà. Cinque fratelli, come le dita di una mano, come un pugno chiuso sul ring della vita, cercano di ottenere dal futuro i loro giorni migliori. Vivono a Lambrate, in sei in due stanze piene di trecce d’aglio che pendono dal soffitto, probabilmente lo hanno portato dalla terra natìa, come una certezza, quasi un feticcio a proteggerli dalla cruda realtà di Milano. Così come le cene di famiglia, dove allo spettatore sembra di sentire il profumo della pasta al forno, teglie magiche anch’esse per scacciare la paura del nuovo. I cinque fratelli, si metteranno di buzzo buono a cercare lavoro e stabilità. Rocco (Alain Delon) diventerà un campione di pugilato, sulle orme del fratello Simone (Renato Salvatori), che invece prenderà una deriva che lo porterà ad un allontanamento dalla famiglia. I due fratelli, condivideranno anche l’amore per una donna: Nadia (Annie Girardot) che sfocerà in tragedia per la gelosia di Simone.
Una cucina unitaria lombarda non esiste, data la particolare geografia che caratterizza questa regione. I primi a creare piatti elaborati furono i Celti, a cui si deve l’origine del cuz, ma le successive dominazioni – dai romani, agli austriaci, agli spagnoli, ai francesi fino ad arrivare alla Repubblica di Venezia – hanno lasciato tracce ben evidenti nel corso dei secoli. Ancora oggi la Lombardia nella sua parte occidentale risente dell’influenza della cucina piemontese, mentre a oriente sono evidenti le contaminazioni provenienti dal Veneto.
La gastronomia – fatte le debite differenze fra i territori e soprattutto fra pianura e montagna – è caratterizzata dal riso e dalle paste ripiene piuttosto che da quelle secche. Per le carni si preferiscono le cotture lente e lunghe (brasati, bolliti), mentre un discorso a parte merita la preparazione dei pesci di acqua dolce, differente da zona a zona. Il burro (o lo strutto) è preferito all’olio d’oliva (vista la scarsità di questa materia prima, prodotta esclusivamente nelle vicinanze dei laghi), abbondano la carne di maiale, il latte e i suoi derivati (molto ampia la scelta di ottimi formaggi), le uova e – comune a tutto il nord Italia – la polenta. Una cucina molto varia e per molti versi originale.
Il cuz è una ricetta antichissima che si fa risalire, nella versione attuale, all’anno 700: qualcuno sostiene che sia lo spezzatino più antico del mondo. Nasce in Valcamonica, precisamente a Corteno Golgi e la formula della sua preparazione per secoli ha avuto solo una trasmissione orale. Era il piatto dei pastori, che usavano questo metodo anche per conservare più a lungo la carne. Nel tempo è diventato il piatto della festa delle famiglie del territorio. La carne utilizzata dovrebbe essere di pecora cortenese, un animale che arriva a pesare 60/70 chilogrammi; in sua assenza si può utilizzare della carne di agnellone.
INGREDIENTI
PREPARAZIONE
Prendete un grosso recipiente di rame e ponetevi l’agnellone pulito e tagliato a pezzetti, ben lavato e sgrassato il più possibile. Aggiungete un bicchiere di brodo, il grasso di pecora e gli aromi. Mettete ora il recipiente sul fuoco, meglio se avete a disposizione un camino e fate cuocere lentissimamente per circa 4 ore. Man mano che la carne prende colore aggiungete ancora il vino e il brodo, un po’ alla volta, senza allungare eccessivamente l’intingolo perché la carne deve cuocere e non lessarsi. Per evitare che la carne attacchi sul fondo, non bisogna mescolare ma scuotere il tegame ogni tanto. Dopo un paio d’ore dall’inizio della cottura, aggiungere un po’ di sale grosso e ripetere l’operazione più volte, senza esagerare. Una volta cotta, la carne che deve risultare molto morbida, si serve su un letto di polenta con il suo intingolo.
D’obbligo, una polenta dura di granoturco o mista di saraceno e un trito di maschèrpa, formaggio grattugiato ricavato dal siero di latte.
Per chi volesse realizzare un trailer fai da te su "La Lombardia dei Miracoli" proponiamo questo gioco, dando le indicazioni di entrata e di uscita dai film. Basterà usare un qualunque programma di montaggio ed inserire sulla time-line i dati dei film che vi proponiamo di seguito ed in pochi minuti il gioco sarà fatto.